La scoperta dei correlati neuronali delle emozioni è un fatto relativamente recente. Sembra, infatti, che le zone del cervello collegate alle emozioni, sia positive che negative, siano legate all’amigdala e all’ippocampo. E’ in queste due parti del cervello, quindi, che i neuroni si agitano e scaricano sinapsi quando l’essere umano prova un’emozione che sia essa di gioia o di dolore, ma anche di rabbia o spavento. Le emozioni esistono e sono un dato di fatto anche per la scienza che, da oltre un secolo, cerca di capirne i meccanismi di funzionamento a livello neuronale e le possibili integrazioni anche con altri ambiti disciplinari. Le neuroscienze, la filosofia ma anche la psicologia e la sociologia hanno fornito e forniscono tutt’oggi un supporto prezioso ai laboratori scientifici in cui, tra esperimenti condotti su animali e uomini, sono state scoperte le radici scientifiche dei fenomeni emozionali.
Quando si parla delle emozioni negli animali, però, tutti sono concordi nel sostenere che – in qualche modo che non riusciamo bene a spiegarci – gli animali capiscono quando siamo felici o quando siamo addolorati. Se abbiamo un malore e ci mettiamo a letto, non è raro vedere il nostro amico a quattro zampe piangere e leccarci il viso, ‘come se’ capisse che il suo padrone non sta bene e ‘come se’, in qualche modo, con i suoi piccoli ma grandissimi mezzi, cercasse di alleviare le sue sofferenze. In sostanza, è come se il cane fosse in grado di condividere, o meglio, di sentire le emozioni del suo padrone in un rapporto simbiotico che vede un’immedesimazione dell’animale nell’uomo e, non di rado, dell’uomo nell’animale. Questo fenomeno è conosciuto con il nome di empatia che, letteralmente, significa sentire insieme.
Le origini scientifiche di questo fenomeno sono state rintracciate all’inizio degli anni 90, nei laboratori dell’Università di Parma. Qui, un gruppo di ricercatori guidati dal professor Giacomo Rizzolatti, ha condotto una serie di esperimenti su una particolare specie di scimmie, i macachi. Durante una pausa pranzo, uno dei ricercatori si regalò un momento di sosta mangiando delle noccioline americane e iniziò a ripetere – quasi meccanicamente – il gesto di portarle alla bocca e buttare le bucce in un cestino. Una delle scimmie, che in quel momento aveva ancora i cavi di un macchinario legati alla testa, iniziò ad attirare l’attenzione del ricercatore che si rese conto che fatto che la macchina aveva iniziato a registrare delle sinapsi particolari; il ricercatore continuò a ripetere il gesto di afferrare, mangiare e lanciare la buccia e le sinapsi partivano regolari e meccaniche ad ogni ripetizione del gesto. In quel momento, avvenne materialmente la scoperta dei neuroni specchio, ossia di quella particolare classe di neuroni adibita al funzionamento delle emozioni e, in particolare, dell’empatia. Questi neuroni, in sostanza, spiegano per quale motivo quando un uomo prova un’emozione, è ‘come se’ l’animale provasse la medesima sensazione.
Gli esperimenti a Parma si susseguirono in serie e, ad ogni tentativo, i macchinari confermavano che qualcosa nel cervello delle scimmie si muoveva nel momento stesso in cui si muoveva nel cervello umano. Quei macachi, quindi, non condividevano semplicemente ma – in qualche modo, vivevano le sensazioni ‘come se’ fossero al posto stesso degli uomini che compivano un gesto particolare (afferrare- prendere-lanciare) o sentivano una particolare emozione, fosse essa di gioia o di piacere. Nell’empatia, l’io dell’uomo e quello dell’animale diventano un unico io e, pertanto, i vissuti emozionali diventano una sola cosa, nonostante il tutto avvenga in due corpi differenti di specie diverse.
Quei neuroni scoperti a Parma furono ribattezzati ‘neuroni specchio’ proprio perchè svolgevano la funzione di fare da specchio tra l’uomo e l’animale, e viceversa. Gli esperimenti successivi, infatti, portarono alla luce che questi neuroni scaricavano sia quando l’animale osservava l’uomo compiere determinati tipi di azioni, sia quando semplicemente ‘sentiva’ l’uomo provare un’emozione, sia positiva che negativa. Una smorfia di dolore di un ricercatore attivava i medesimi correlati neuronali nel cervello della scimmia e in quello dell’uomo e – in entrambi i casi – quei neuroni scaricano dalle parti dell’amigdala, lì dove anche altri esperimenti passati avevano dato il sentore che ci fosse qualcosa a che fare con le emozioni e i sentimenti. Gli animali ci sentono o, per meglio dire, sentono le stesse cose che sentiamo noi quando siamo felici oppure non ci sentiamo bene. Tutto questo non nasce dalla fantasia di chi ama gli animali, ma viene fuori da una delle ricerche più importanti che siano state condotte in Italia negli ultimi anni nell’ambito della medicina sperimentale applicata alla neuroscienza. Quello che è accaduto nei laboratori di Parma non riguarda solo i macachi, ma tutti gli animali, cani compresi. Ecco perchè non c’è da sorprendersi se quando stiamo male, il nostro cane sembra accucciarsi e stare male come noi. In effetti, il nostro cane sta male davvero ed è come se avvertisse il nostro stesso dolore.