Malattia subdola, dall’andamento talvolta silente; in altri casi, invece, rapidamente progressivo, la leishmaniosi canina è, sopratutto negli stadi più avanzati, di difficile controllo terapeutico.Da qualche tempo, tuttavia, è disponibile sul mercato un vaccino sulla cui efficacia e sicurezza, come si legge sul sito dell’istituto Superiore di Sanità restano ancora molti i punti da chiarire.
Indice
Dove è diffusa la leishmaniosi
Tra le zoonosi più preoccupanti, questa malattia in Italia e in Europa è provocava dal protozoo Leishmania Infantum tramite l’intervento di un insetto pungitore, il flebotomo che colpisce il cane e, sporadicamente, anche l’uomo (in Italia sono segnalati in media 150-200 casi di leishmaniosi umana ogni anno). Un tempo, questa malattia era tipica delle regioni esotiche ed era diffusa, in particolar modo, nella fascia costiera del mediterraneo; oggi, invece, è presente anche in zone che un tempo erano completamente estranee a questo fenomeno. In generale, si tratta sicuramente della patologia canina più importante del mediterraneo. Si calcola che in Spagna il 7% della popolazione canina totale ne sia colpita e, in altre regioni, la percentuale sale fino al 40%. Nell’area Sud-Est dell’Europa si sta osservando un aumento generalizzato della prevalenza della malattia, cioè del numero di casi registrati. per quanto riguarda la situazione nel nostro paese, fino agli anni ’80 il fenomeno era limitato alle zone costiere del centro e del sud mentre, a partire dagli anni ’90 si è verificato un aumento di nuovi casi di leishmaniosi in tutte le regioni endemiche e, contestualmente, sono iniziate le segnalazioni di focolai in aree che tradizionalmente erano da definirsi non endemiche (in particolar modo, le regioni del nord). Nel sud, tuttavia, la situazione è molto grave anche a causa del dilagante fenomeno del randagismo con gruppi di cani vaganti che fanno da veri e propri serbatoi della malattia. L’aumento esponenziale dei casi registrati in Italia negli ultimi anni ha fatto si che questi divenissero oggetto di sorveglianza da parte di u progetto nazionale e di un sottoprogetto europeo chiamato EDE-LEI che ha l’obiettivo di valutare l’impatto dei mutamenti climatici ed ambientali sulla diffusione della malattia. In un’indagine condotta nel 2009 su 234 cani appartenenti a 60 razze diverse che avevano trascorso almeno una stagione di trasmissione in alcune aree della Lombardia e dell’Emilia Romagna, 7 cani sono risultati clinicamente sintomatici, mentre la sieropositività alla leishmaniosi si è rivelata più che doppia nel 2006. I risultati dello studio hanno confermato l’espansione e la stabilizzazione di questa malattia canina nel territorio pre-appenninico preso in esame. Si tratta di un dato decisamente interessante reso ancor più grave dall’elevata percentuale di soggetti sieropositivi nei canili o comunque in situazioni di promiscuità con altri cani o animali (ad esempio negli allevamenti di pollame) che pone il problema della possibile trasmissione della malattia anche senza l’intervento di un vettore o che, piuttosto, suggerirebbe l’importanza della promiscuità quale elemento di attrazione del flebotomo e dell’instaurarsi di colonie di parassiti.
Il flebotomo all’origine della malattia canina
Il vettore della leishmaniosi è un insetto particolare che si chiama flebotomo (dal greco flebòs che significa vena e temno, ossia taglio. Questo insetto è lungo circa 2-3 mm; quindi si tratta di un animale più piccolo di una zanzara, di color giallo sabbia in grado di provocare fastidiose irritazioni mediante la sua puntura. Il suo volo, però, a differenza di quello della zanzara è silenzioso e ne giustifica la definizione nota di pappatacio. L’interesse per i flebotomi è da ricondurre alla loro capacità di fungere da vettori biologici di questa malattia. Ad oggi, in Italia i flebotomi di specie perniciosus, perfiliewi, neglectus e ariasi sono vettori provati di leishmania infantum. Solo le femmine del flebotomo sono in grado di diffondere la malattia perchè, a differenza del maschio,, sono ematofaghe e cioè si nutrono di sangue con la possibilità di assumere il protozoo e di ospitarlo nel proprio organismo. In particolare, dopo la fecondazione la femmina del parassita compie il ‘pasto di sangue’ e poi depone le uova (fino a 100 per volta) nelle fessure dei muri di casolari e vecchie costruzioni e negli anfratti del terreno che costituiscono l’habitat ideale per l’insetto. In condizioni ottimali di temperatura, umidità ed ossigenazione, le uova schiudono liberando le larve che subiscono varie mute prima di diventare insetti adulti. In relazione alle condizioni climatiche, il ciclo biologico del flebotomo dura circa 2 mesi. I flebotomi presentano una massima attività nei mesi che vanno da maggio-giugno a settembre-ottobre ma la tendenza osservata è quella di una dilatazione progressiva di questo periodo a causa di un allungamento della calda stagione. I flebotomi, inoltre, sono attivi fino ad altitudini di 600-800 metri sul livello del mare e pungono le loro prede prevalentemente in tarda serata e all’alba quando, cioè, il tasso di umidità è più elevato. Per questo motivo, è importante che in queste fasce d’orario il cane resti in un luogo chiuso e riparato.
Sintomi leishmaniosi
Dal punto di vista clinico, i sintomi più caratteristici ed evidenti sono rappresentati dalle alterazioni cutanee: alopecia (ovvero la perdita di pelo), oricogrifosi (allungamento anomalo delle unghie), dermatite furfuracea, associati a diminuzione dell’appetito, ingrossamento dei linfonodi ed epistassi (emorragie nasali) anche di notevole entità. Le complicanze renali sono quelle più pericolose e possono condurre a morte i cani colpiti da questa malattia.
Va detto, tuttavia, che molti cani possono restare completamente asintomatici per lunghi periodi o addirittura per tutta la vita e contribuire, ugualmente, alla diffusione della malattia fungendo da serbatoi naturali del protozoo. Peraltro, la via di trasmissione della malattia non avviene da un cane ammalato a un cane sano (quindi, non avviene per via diretta) ma richiede l’intervento dell’insetto vettore, il flebotomo, che tramite la puntura acquisisce il protozoo per poi reinocularlo in un nuovo ospite, tra cui anche l’uomo, ad un successivo pasto di sangue. La diagnosi si basa sulla dimostrazione nel sangue di anticorpi specifici contro la leishmaniosi infantum seguita, in caso di positività, dalla ricerca diretta del parassita nelle cellule degli organi bersaglio (linfonodi, midollo osseo, cute). Da qualche tempo, sono disponibili anche tecniche basate sull’identificazione del DNA del protozoo nel sangue o nel midollo osseo. Diagnosticare l’infezione nei soggetti portatori sani o in stadio pre-clinico, cioè quando i cani non hanno ancora sintomi, consente di avere maggiori percentuali di successo a livello terapeutico. Questo, associato alle misure di prevenzione volte ad impedire la puntura del cane, ha mostrato di ridurre il rischio di contagio anche per l’intera collettività.
Come prevenire la leishmaniosi
Se si utilizzano barriere meccaniche /ad esempio le zanzariere), bisogna tenere presente che i flebotomi sono più piccoli di una zanzara e, quindi, le reti utilizzate devono avere le maglie molto fitte. E’ preferibile, quindi, l’impiego di prodotti specifici in formulazione spot-on, da applicare direttamente sulla cute dell’animale o mediante collari impregnati con effetto anti-feeding (simile al repellente), in grado cioè di ridurre in modo significativo la probabilità che il cane venga punto dall’insetto.
I biocidi, così si chiamano questi prodotti ad uso veterinario con efficacia provata sui vettori di leishmaniosi canina, sono limitati a derivati sintetici del piretro, quali la permetrina e la deltametrina che hanno ricevuto il marketing approval nell’ambito dei Paesi della Comunità Europea. Questi presidii sono attualmente gli unici con efficacia validata (a differenza dei repellenti usati nell’uomo a base di picaridina, dietiltoluamide, o estratti vegetali di geranio o citronella), e devono essere prescritti dal medico veterinario che ne indicherà il corretto utilizzo.
E’ parimenti importante nelle aree endemiche (anche nei soggetti che vi hanno trascorso solo brevi periodi durante l’estate) e nelle zone in cui se ne sospetta la diffusione, effettuare ad inizio primavera su tutti i cani un test sierologico di screening su prelievo di sangue, per valutare la positività anticorporale che non significa necessariamente ‘malattia’ ma ‘avvenuto contatto’ del cane col parassita. Solo in caso di esito positivo al test sierologico sussiste, infatti, l’indicazione di procedere ad accertamenti diagnostici più approfonditi. La possibilità di contagio diretto cane-uomo è eccezionale, essendo la trasmissione di questa malattia legata pressochè esclusivamente all’intervento del flebotomo che funge da vettore del protozoo.
Il cane affetto da leishmaniosi non è un cane da nascondere nè tantomeno da allontanare. Grazie ai notevoli progressi osservati negli ultimi anni in ambito terapeutico, con la possibilità di controllare la malattia per lunghi periodi. l’opzione dell’eutanasia va ormai considerata solo in alcuni casi eccezionali, quando le condizioni del cane non consentono alcun margine di cura. Nelle Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità l’eutanasia, inoltre, non è ed ha dimostrato di non essere, nè da un punto di vista clinico nè, tantomeno, etico, una misura di prevenzione efficace per prevenire la diffusione della malattia.
Quando fare il vaccino
L’eterogeneità delle specie di leishmanie in gioco (circa 15) e degli insetti vettori, come pure la complessità della risposta immunitaria osservata nei serbatoi naturali della malattia (uomo e cane in primis), giustifica i fallimenti in cui si sono imbattuti i ricercatori nella messa punto di un vaccino anti leishmania che, per questi motivi, non può essere universale.
Peraltro, i tentativi di produrre un vaccino contro questa malattia non sono cosa recente. Della possibilità di promuovere una resistenza naturale permanente contro la leishmaniosi provocando artificialmente una forma attenuata di malattia, quindi, in definitiva, una sorta di vaccinazione, si parlava già secoli fa nel Medio Oriente. Contro la sua diffusione veniva messa in atto una pratica della leishmanizzazione che consisteva, appunto, nel provocare volutamente un’infezione di modesta entità utilizzando il liquido infiammatorio fuoriuscito dalle lesioni cutanee prodotte dalla leishmania Major.
Più recentemente, è a partire dagli anni ’90 che si sono intensificate le ricerche per la sintesi di vaccini veri e propri. Bisogna, però, arrivare all’aprile del 2011 per avere la prima registrazione europea di un vaccino canino contro la leishmania infantum (Canilesh, Virbac), il cui obiettivo sarebbe quello di stimolare una risposta immunitaria cellulo-mediata, l’unica che funziona contro questa malattia. A differenza degli altri vaccini, infatti, quello contro questo male non prevede l’introduzione di una risposta mediata dalla produzione di anticorpi, bensì una difesa basata sulla stimolazione di elementi quali i microfagi (cellule deputate all’inglobamento ed alla distruzione di un agente patogeno)
Il vaccino contro la leishmaniosi è destinato ai cani che hanno un’età superiore ai sei mesi e consiste in una prima iniezione, da ripetere altre due volte dopo 3 e 6 settimane, con un richiamo dopo un anno. Dal momento che non sono state indagate le possibili interazioni con i vaccini ‘convenzionali’, la prima inoculazione deve essere fatta ad almeno due settimane di distanza da questi. Femmine gravide o in lattazione non possono essere vaccinate, in quanto la sicurezza del prodotto non è stata testata in queste due situazioni. Prima di sottoporre un cane a vaccinazione è necessario valutarne lo stato di salute, anche se l’azienda non specifica che cosa intenda per cane sano, ed eseguire un test per escludere la sieropositività alla leishmaniosi. Per il primo anno il costo si aggira sui 250-300 euro, comprensivo di test preliminari e di vaccinazioni. I risultati finora ottenuti hanno mostrato che la protezione conferita da questo vaccino non impedisce che un cane si infetti, ma che la malattia progredisca e che il cane diventi sintomatico. La copertura, inoltre, non è a vantaggio della totalità dei cani vaccinati, ma si aggira sui 68% dei casi.
Il vaccino, di per sè, ha dimostrato di conferire una protezione decisamente incompleta. Un cane su 3, infatti, nonostante il vaccino contrae la malattia. Inoltre, la sua somministrazione non ha dimostrato alcun vantaggio nelle zone a minor rischio di infestazione. E’ possibile ammettere, quindi, in accordo con parassitologi di fama internazionale che sia ancora prematuro proporre il vaccino su larga scala e che sia necessaria un’attenta valutazione del rapporto rischio/beneficio per ciascun cane. La lotta contro la leishmaniosi, ben lungi dall’essere vinta, deve quindi continuare a basarsi sull’adozione di efficaci misure di prevenzione. Questo va detto al fine di evitare false aspettative nei proprietari o, peggio, di alimentare mere operazioni di marketing, praticando il vaccino a tappeto anche ove non necessario.
La terapia per combattere la leishmaniosi
Data la cronicità della malattia, la terapia per combattere la leishmaniosi è molto complessa e, come facilmente intuibile, tanto più efficace quanto più precoce sarà stata la diagnosi e se intrapresa prima che si siano instaurate le lesioni irreversibili tipiche a danno di organi e apparati, in particolare quello renale. in linea di principio, considerata l’elevata capacità del protozoo di sviluppare resistenza farmacologica, è consigliata l’associazione di più farmaci. La terapia elettiva della leishmaniosi canina si basa così da tempo sull’associazione tra un sale antimonio ed allupurinolo (utilizzato anche nell’uomo come rimedio contro la gotta, ma il cui impiego in corso di leishmaniosi è giustificato dalla sua capacità di bloccare la replicazione del parassita). Tra gli antibiotici, è provata la parziale attività dell’aminosidina (che tuttavia è molto tossica per il rene), mentre quella di alcuni chinolonici e del metronidazolo è considerata irrilevante.
La miltefosina, un farmaco impiegato da anni in medicina umana come chemioterapico nel trattamento del carcinoma mammario, ha mostrato nei primi studi un’efficacia sovrapponibile a quella dell’antimoniato di metil-glucamina. La sua somministrazione nel cane, che può essere effettuata per os con il cibo, è tuttavia consigliata solo in alcuni casi e comunque solo dopo una mancata risposta ai farmaci convenzionali. Dal momento che questa molecola viene abitualmente utilizzata per la terapia della leishmaniosi umana nei paesi in via di sviluppo, vi è un fondato timore che la sua applicazione su larga scala possa favorire fenomeni di farmaco-resistenza da parte del parassita che ne comprometterebbero l’impiego nell’uomo. Una curiosità: tra le molecole impiegate nel trattamento di questa malattia canina compare anche il domperidone, noto in medicina umana come anti-vomito e per la cura di problemi digestivi. Il fatto che questo fasmaco sia stato inserito nei protocolli terapeutici della leishmaniosi è riconducibile alla sua capacità di regolare la risposta immunitaria così importante per la prognosi di questa malattia. Accanto ai trattamenti specifici, infine, vengono utilizzati rimedi sintomatici che vanno ad alleviare i disturbi. Numerosi sono i casi di negativizzazione dei tests sierologici al parassita con gli attuali protocolli terapeutici, ma ciò non costituisce purtroppo una garanzia dell’avvenuta eliminazione della leishmania come pure non permette di escludere che vi possano essere delle ricadute per l’animale in epoche successive.